L’affinamento del formaggio tra magia e scienza.
Partirei con la domanda delle domande: chi è il responsabile dell’affinamento del formaggio. Iniziamo allora dando subito la dizione più coerente del concetto di affinamento: complesso dei fenomeni fisici, fisico-chimici, ecc.) che intervengono nel periodo di evoluzione del formaggio e che concorrono a migliorarne i caratteri organolettici. Scendendo nei particolari, differenze enormi vengono alla luce quando trattasi di formaggi di latte crudo, termizzato oppure pastorizzato, sarà pertanto mia cura valutarne i singoli casi e sviluppare le conseguenti tematiche nel modo più appropriato possibile, osservando alla bisogna un approccio quanto mai scientifico. Bene…per cominciare con il piede giusto, vediamo di capire quali sono i meccanismi che intervengono nel processo di affinamento, della loro relativa importanza e quali, le conseguenze sull’evoluzione dei prodotti al fine di comprendere meglio quel che potrà essere il risultato finale. L’importanza dell’attività enzimatica rappresenta quantitativamente il capitolo più importante, al quale dedico una particolare attenzione, perseguendo il tentativo di semplificare al massimo i concetti che stanno alla base delle reazioni chimico fisiche correlate alla migliore programmazione di un buon “affinamento”. Il concetto di enzima, già espresso in un precedente articolo, è rappresentato da sostanze a base proteica in grado di catalizzare, in determinate condizioni di temperatura e Ph, tutta una serie di reazioni biochimiche che sono alla base dei processi di maturazione del formaggio. Notare bene il termine “catalizzare”….significa che l’enzima mantiene una sua specificità d’azione su di un solo determinato substrato ( nel caso del formaggio rappresentato dalle proteine, dai grassi e dagli zuccheri), accelerando determinate reazioni senza venirne in alcun modo modificati e senza entrare nel meccanismo di reazione. E’ il meccanismo della chiave che apre la serratura. Veniamo a noi…da dove vengono questi enzimi? Per quanto riguarda il formaggio, ne troviamo già moltissimi nel latte crudo di partenza, dall’attività secretoria dei batteri, dei lieviti e dei funghi presenti, e, non ultimo dai vari tipi di coagulanti impiegati nella caseificazione del latte. Gli enzimi, essendo nella loro struttura formati da una parte proteica, risultano particolarmente sensibili alla temperatura e all’acidità del mezzo in cui si trovano ad agire, necessita quindi operare in un ristretto range, al di fuori del quale, si incorre nel fenomeno della denaturazione, ossia l’inattivazione irreversibile della struttura proteica con perdita totale dell’attività enzimatica. Si può ben capire, come quest’ultima sarà scarsissima nel formaggio “termizzato” (ossia da latte riscaldato a 65°C) e quasi del tutto assente nel latte pastorizzato, dove al più possono risultare non inibiti alcuni enzimi termoresistenti (Es. enzimi ossidasici). In questi ultimi casi, per l’assenza di attività enzimatica di un certo peso, più che di affinamento si deve parlare di invecchiamento del formaggio, per cui in assenza di maturazione per così dire “naturale” apparirà quanto mai opportuno l’intervento esterno operato dell’uomo, cambiando dove è possibile le condizioni di conservazione (N.B conservazione e non stagionatura). Vengono utilizzati a tale scopo tutti quei presidi che apporteranno nuove caratteristiche al formaggio come, lavaggi con vino, birra, acqueviti o simili, nonché mantenimento sotto foglie, fieno, frutta, spezie e chi più ne ha più ne metta. Molto più complesso risulta essere l’affinamento o, meglio, la maturazione, per via enzimatica del formaggio, che naturalmente avrà come prerogativa peculiare la sua elaborazione a partire dal latte crudo. E qui entra in gioco la scienza. La maturazione del formaggio consiste nella trasformazione fermentativa dei suoi componenti principali, zuccheri, proteine e grassi ad opera degli enzimi, come già precedentemente citato, già presenti nel latte originario, quelli prodotti dai batteri, dai funghi e da lieviti, e non ultimo quelli dei diversi coagulanti impiegati in casearia. Grossolanamente gli enzimi implicati maggiormente nei processi di maturazione li possiamo dividere in tre semplici, famiglie: le lattasi e le alfa-amilasi che sono in grado di scindere il lattosio, lo zucchero del latte, le proteasi che scindono le proteine, caseine in primis, e, le lipasi che scindono i grassi: naturalmente, la loro azione è coadiuvata anche da altri enzimi già presenti nel latte o sintetizzati dai batteri zimogeni come le fosfatasi alcalina e acida, le ossidasi le catalisi. L’azione degli enzimi lattasi e alfa amilasi si traduce nella fermentazione del lattosio degradato sino ad acido lattico, le diverse proteasi sono in grado di rompere in segmenti più minuti le caseine alfa, beta e gamma, creando frammenti proteici più piccoli, mentre le lipasi scindono i lipidi, esteri glicerici, nelle componenti glicerina e acidi grassi liberi. Questi ultimi manifesteranno in seguito fenomeni di irrancidimento chetonico e ossidativo ad opera di enzimi ossidasici di origine fungina. Diversi enzimi contenuti nei coagulanti (cagli) presentano caratteristiche simili nell’azione sulle proteine e sui grassi, tuttavia, la loro origine determina un’azione più o meno spiccata: così ad esempio, caglio di vitello da latte o di capretto, hanno un’azione più “morbida” rispetto a quella del bovino adulto e soprattutto a quella dell’ ovino, del suino o del pollo. Una menzione particolare hanno inoltre i cagli di origine vegetale come quelli ottenuti dal Gallio, (Gallium verum), dal Cardo (Cynara cardunculus), dal Fico (Ficus carica), e quelli di origine fungina (Mucor) anch’essi in grado di svolgere un’azione proteolitica più o meno intensa. Detto ciò, verifichiamo il risultato dell’affinamento dei nostri formaggi. I funghi nel loro metabolismo caratterizzato da una forte azione lipolitica, sono responsabili della formazione della crosta, nonché delle venature interne alla pasta, la sintesi di metaboliti odorosi e piccanti, i lattobacilli, con le loro lattasi e alfa amilasi trasformano il lattosio in acido lattico dando origine ad una pasta dalla caratteristica acidità, mentre, le proteasi batteriche e quelle dei vari coagulanti, spezzando le caseine, originano dei frammenti odorosi, più o meno sapidi, più o meno piccanti, a volte anche amarognoli. Il processo di maturazione enzimatica si traduce allora con lo sviluppo più o meno intenso di una variegata molteplicità di profumi e sapori, di nuove sensazioni tattili, e, laddove le proteasi sono più attive, di un rammollimento della pasta e della sua pigmentazione dando origine a quello che viene definito…un buon formaggio. La risposta più coerente alla domanda iniziale allora è la seguente: l’affinamento del formaggio è responsabilità esclusiva di reazioni biochimiche sviluppate da enzimi delle diverse provenienze e sostenute dalla vita dei più differenti microorganismi che in condizioni ben specifiche lavorano per noi senza sosta. E allora l’uomo? Già, l’uomo! L’uomo può soltanto sostenere il buon progredire di questi processi naturali sorvegliando al meglio le condizioni di stagionatura, e, laddove, nel formaggio l’attività enzimatica sia di molto ridotta addirittura assente, può soltanto agire su quelle condizioni esterne di cui sopra: il latte crudo non ha certo bisogno di interventi esterni di abbellimento, è in grado di ”lavorare” in solitudine e lo sa fare molto meglio degli umani. Questo, in estrema sintesi il processo di affinamento quale personalmente intendo.