Come puzza questo vino! Storie di piccoli, subdoli sabotatori britannici, riviste e corrette.
Frutta, fiori e spezie sopraffatti da orribili puzze fetide, animali, di sudore di cavallo e orina di topo (anche se fortunatamente non ho mai avuto il piacere), fogna, stalla, catrame, insomma, un’universo di piacevolezze che, udite udite, alcuni cicisbei spacciano per tipicità. Domandiamoci allora: da dove arriva tutto questo ben di Iddio? Avete mai sentito parlare di Brett? No? Allora vediamo di far luce sull’argomento una volta per tutte, facendo leva e riferimento su tutti i concetti scientifici ad oggi conosciuti. Innanzi tutto, a cosa sono dovuti i meravigliosi effluvi che ci regalano il classico tocco “caratteristico” al vino? Molto semplicemente a sostanze chimicamente identificate come fenoli, e, in modo particolare, il 4-etilfenolo ed il 4- etilguaiacolo, metaboliti di altrettanti precursori come l’acido ferulico, caffeico e cumarico, (fenoli pure questi) presenti normalmente nei mosti, a loro volta derivati dagli antocianosidi, flavonoidi e quercitine presenti nella buccia, polpa, vinaccioli e raspi dell’uva. Bene, questi sono i co-protagonisti del nostro racconto. Da buon ultimo è arrivato il momento di presentare l’attore principale della tragedia: l’istrione per eccellenza, il manovratore pazzo, il subdolo piccolo sabotatore: Sua Maestà il Brettanomyces ( per altro a spartirsi la corona di rompiscatole sono almeno quattro specie differenti), che, in onore al bel linguaggio, preferisco identificare come Brettanomiceti. Ma…che cavolo sono? A parte il fatto che la mia antipatia per tutto ciò che ha origine, (e non solamente nel nome), dalle isole britanniche; trattasi di lieviti appartenenti al genere Cryptococcaceae, e, ahinoi, da subito presenti sui grappoli d’uva, ancor prima dell’attesa maturazione. Una volta pigiato il frutto, i nostri eroi, passano bellamente il loro tempo a sguazzare nel mosto, dove, trovando pure il nutrimento necessario alla loro riproduzione, e qui, non si fanno certo sfuggire l’occasione di fermentare gli zuccheri, e, con grande goduria, trasformare i co-protagonisti di cui sopra, in quella serie di porcherie che andranno ad ammorbare il risultato finale del nostro lavoro: un vinaccio schifoso da voltastomaco che nemmeno in punto di morte, dovesse per puro caso salvarmi la vita, oserei bere. Visto che una vera e propria cura nei confronti dei Brettanomiceti non esiste, si dovrà forzatamente operare nel tentativo di prevenirne lo sviluppo durante tutte, e sottolineo tutte, le fasi di lavorazione, partendo da subito dalla vigna stessa. Si dovrà evitare , la sovra maturazione dell’uva , ovvero l’ incremento di materiale polifenolico, selezionando rigorosamente quella sana, rimuovendo al contempo uva ed acini ammuffiti, che generalmente ospitano i nostri in quantità maggiori. Il passo in cantina è breve, dapprima un ambiente salubre e pulito (il Brett, è in grado di colonizzare tutto: cemento, anfore, botti e penetrarne in profondità tutti questi materiali, che non risultano di conseguenza mai completamente bonificabili): l’uso di vasche di fermentazione e conservazione in acciaio inox è necessariamente auspicabile, in quanto agevoli alla pulizia ed altrettanto vantaggiose per il controllo della temperatura. Il pre solfitaggio a bassa concentrazione di SO2, e il corretto controllo della temperatura sono in grado di inibire la proliferazione dei Brettanomiceti, nonché, la defecazione e sfecciatura dei mosti delle uve bianche, da avviarsi a fermentazione, è in grado di ottenere i migliori risultati. Al fine poi, di prevedere lo sviluppo della fermentazione alcolica nel modo il più affidabile possibile, è più che augurabile l’inoculo di lieviti selezionati ( altro non sono che ceppi di Saccaromiceti presenti sugli acini delle uve e fatti crescere su materiale nutritivo), che sono in grado di portare ad esaurimento la fermentazione alcolica evitando i rischi di arresto della stessa, adeguando inoltre i livelli di solforosa e controllando la temperatura in modo quasi maniacale. Nel caso sia prevista la fermentazione malo-lattica, vista la relativa resistenza dei Brettanomiceti alle alte temperature e all’alcol, essendo ormai l’ambiente impoverito di microrganismi, sarebbe opportuno agevolare al massimo l’inizio della stessa, impiegando l’inoculo di batteri lattici selezionati, al fine di controllare più agevolmente l’eventuale sviluppo dei nostri ospiti indesiderati . Si evitino inoltre il riscaldamento della massa, nonché la micro-ossigenazione, fattori questi che possono favorirne lo sviluppo. Naturalmente cessate tutte le fermentazioni, il nostro vino “in pectore”, deve, come si suol dire, esser giustamente rifinito, cioè assistito da aggiunte di dosi opportune di SO2, da seguente svinatura e travaso. Le successive fasi di chiarificazione e filtrazione sono in grado di contenere al massimo la presenza dei Brettanomiceti, anche se, va sottolineato che la loro scomparsa risulta essere in parte o del tutto aleatoria. Come detto, questi nefasti lieviti, laddove rimangono presenti, sono in grado di colonizzare quasi tutti i materiali, dal legno delle botti, ad esempio, essi sono in grado di idrolizzare e fermentare il cellobiosio, e penetrarne a fondo la struttura, per cui la sanificazione risulta praticamente impossibile: la cosa migliore, ma non certo risolutiva sarebbe una seconda tostatura o ancor meglio la loro definitiva sostituzione: sono comunque un ottimo materiale per le grigliate estive all’aperto! Discorso a parte per cemento e anfore, in cui data la loro porosità si sono trovate cellule anche al di sotto di un centimetro dalla superficie: si ben comprende allora come sia estremamente difficoltosa una seria sterilizzazione. Possono essere utilizzati abbastanza vantaggiosamente, la bonifica con alto dosaggio di anidride solforosa, l’utilizzo del vapore a bassa pressione e successivi risciacqui con acqua calda per almeno una decina di minuti, l’impiego di ozono o acqua ozonizzata calda, e, non ultimo da non sottovalutare l’utilizzo degli ultrasuoni. Ora: prima dell’imbottigliamento, sarebbe opportuno il controllo analitico dei parametri chimici e microbiologici, seguiti da filtrazione sterilizzante e dosaggio definitivo della SO2, che, non deve scendere mai al di sotto de 20 mg/l di libera. Conservazione delle bottiglie alla temperatura inferiore ai 12°C in cantina fresca, soprattutto per quanto riguarda i vini poco filtrati o addirittura con il fondo, e, o, con basso livello di anidride solforosa. Queste sono le linee guida per consentire il controllo, il migliore attualmente possibile, indicato per prevenire lo sviluppo dei Brettanomiceti e le conseguenti deviazioni organolettiche del vino (oltre ai fenoli già ampiamente citati, questi, producono non solo le puzze le più oscene, ma, anche acido acetico accanto ad una “corrosione” del colore e naturalmente all’alterazione della limpidezza). Prosit! Mi viene comunque male a immaginare quelle vinificazioni, che non prevedono l’uso di lieviti e batteri lattici selezionati né tantomeno dell’anidride solforosa, della macerazione delle bucce anche quando non richiesta, del rifiuto del controllo della temperatura, del mantenimento dei torbidi anche in bottiglia e naturalmente l’esclusione di qualsiasi trattamento fisico, leggi chiarificazione e filtrazione nel nome di chissà quale dogma!Tutto ciò si traduce nel miglior viatico per produrre un “vino” che, di coraggio, nel volerselo bere a tutti i costi, ce ne vuole tanto ma veramente tanto, e purtroppo, visto che non sono un eroe, preferisco dichiararmi umanamente vigliacco: un vero pusillanime…come si dice: “andate avanti voi che poi vi raggiungo “!
Friz