Perché no! Vorrei brevemente esporre il mio pensiero su ciò che molto amo; il vino. Un occhio disincantato circa il fenomeno della produzione e del consumo dei cosiddetti “vini naturali” e/o “biodinamici”, volendo soltanto utilizzare attente valutazioni puramente scientifiche, che credo, possano aiutare quanti, in questo momento, nutrano dubbi sulla sua genuinità. Considero l’utilizzo di questi aggettivi, altro non serva che a fuorviare l’immagine del vino, che rimane semplicemente il frutto della terra e del lavoro sapiente di persone accorte e meticolose, mentre il consumatore, potrebbe, dico potrebbe, cadere nell’inganno di credere, che tutto ciò che esuli dalle due categorie predette, sia perlomeno sconsigliabile, in quanto a dir poco artificiale. Niente di più falso! Ci siamo persi nella foresta del rifiuto e della negazione, e queste mie brevi note, vorrebbero perlomeno portare un barlume di luce, per ritrovare un cammino ormai smarrito. Si può rifiutare l’uso dell’anidride solforosa (leggi solfiti)? Certamente si, ma a quale prezzo? Ho già ben definito le sue proprietà in precedente articolo, tuttavia, vorrei soffermarmi soltanto sugli aspetti quali molecola antiossidante e antimicrobica. Siamo per caso convinti che il vino cosiddetto” genuino”, fatto cioè con i piedi, e senza l’uso del ben che minimo additivo sia salubre, buono e sicuro? Se non vivete nella certezza assoluta, ma, in fondo a voi rimane un minimo dubbio, la speranza per ritrovare il giusto cammino non è ancora perduta! Trattiamo dunque il primo aspetto, riguardante il potere antiossidante dell’ anidride solforosa, durante le fasi di vinificazione e maturazione del vino. La fermentazione alcolica che porta alla trasformazione degli zuccheri fermentescibili, glucosio e fruttosio, in alcol etilico , passa attraverso la formazione di acetaldeide, che già di per sé, se non “neutralizzata”, dona al vino il gusto di svanito. Quest’ultima sostanza sta al crocevia di due possibili cammini, il primo, la via riducente, porta alla sua trasformazione in alclole, mentre il secondo, la via ossidante, comporta la formazione di acido acetico, acetati, di cui il più fastidioso quello etilico, è il più semplice da individuare anche all’ olfazione diretta, avendo la caratteristica nota di solvente, tanto fastidiosa. Si crea così quella che viene chiamata comunemente ”la volatile”, ed il gusto agre del vino. Oh ma che meraviglia! In mancanza di fattori riducenti, anche la materia colorante subisce delle trasformazioni molto severe: i derivati della quercitina, presenti nella buccia, nella polpa e nel raspo, in breve tempo, complice l’acidità del mezzo e l’azione della luce, tendono naturalmente a polimerizzare, ossia a “condensare” tra di essi, dando origine a nuovi composti organici di natura melanoide dal colore bruno-marrone, ben evidente nei “vini” bianchi, mentre, la corrosione del colore nei vini rossi, procede pari passo alla sua ossidazione, sino ad una nuance che il mio Grande Maestro, descriveva in modo alquanto colorito come “color sangue di rana”, il tutto naturalmente accompagnato dalla “rottura” della limpidezza. Stupefacente! Risultato: un vero schifo! Passiamo ora all’aspetto più inquietante della faccenda, ossia valutando le proprietà antimicrobiche dell’anidride solforosa. Qui ci si imbatte , in una problematica poco conosciuta ma alquanto attuale. Doveroso un piccolo cappello. Sulla pruina dell’uva (quella specie di colla naturale presente sulla buccia), vengono fissate molte varietà microbiche, appartenenti alle famiglie dei lieviti e dei batteri. Considerando i primi, si possono enumerare a loro volta due grandi famiglie; quella dei lieviti apiculati (a forma di limone) e quella dei lievi ellittici (a forma d’uovo). Alla prima appartengono ad esempio Kloeckera apiculata, Torulopsis stellata, Saccharomycodes Ludwigii, mentre alla seconda ad esempio Saccharomyces cerevisie, Saccharomyces ellipsoideus, Saccharomyces oviformis. I lieviti apiculati, primi interessati al fenomeno fermentativo, oltre a produrre modeste quantità di alcol, risultano essere responsabili della formazione di acidità volatile, e di amino-acidi quali precursori di amine biologicamente attive, di cui, alcune tra di esse, non sono propriamente convenienti alla nostra salute, nel momento in cui dovessero essere accidentalmente introdotte nell’organismo tramite consumo di alimenti. Fortunatamente per noi, è possibile contrastare la loro azione, attraverso inibizione pressoché totale, dei lieviti produttori, utilizzando piccole dosi di anidride solforosa. D’altro canto, i lieviti ellittici, si dimostrano invece ottimi produttori di alcol, cattivi produttori di “volatile” e fortunatamente pessimi produttori di questi precursori, risultando tuttavia in grado, di esercitare la trasformazione da amino-acido ad amina corrispondente, per decarbossilazione enzimatica come sotto semplificato:
In modo particolare, dall’Arginina e dall’Ornitina si ottiene la Putrescina, dall’Istidina si ottiene l’Istamina, dalla Tirosina la Tiramina, dalla Serina l’Etanolamina, dalla Lisina la Cadaverina, dal 5-idrossitriptofano la Serotonina, dalla Fenilalanina la Feniletilamina. Alcune di queste sostanza, sono considerate responsabili di particolari effetti collaterali, come ad esempio ipotensione, rossore, mal di testa dovuta alla dilatazione dei vasi sanguigni periferici, dei capillari e delle arterie, eruzioni cutanee ed arrossamenti, nausea, vomito, diarrea, lacrimazione, salivazione, problemi respiratori, aumento della frequenza cardiaca e della glicemia. E’ evidente allora come l’inibizione dei lieviti apiculati, essendo in massima parte responsabili della formazione di questi precursori, sia indispensabile, non solo alla buona riuscita della fermentazione alcolica, in “purezza”, ma garantisca soprattutto un basso tenore in amine biologicamente attive. Il tutto viene complicato dal fatto che anche batteri responsabili della fermentazione lattica dell’acidio Malico, come Oenococcus oeni, siano in grado di operare le trasformazioni sopracitate. Visto che non possiamo sparare nelle botti, l’unico intervento sensato rimane allora l’uso della sola Anidride Solforosa. Oppure no? Non vedo allora il perchè, si debba ostinatamente produrre il vino, avvalendosi di: macerazioni spinte, utilizzando tutta la flora microbica indigena senza nessun ritegno, sorvolando sul controllo della temperatura, senza l’ausilio dell’ anidride solforosa, senza filtrazione, sperando pur nella benevolenza di tutti gli astri del firmamento, (meglio e più sicuro affidarsi all’oroscopo) e, dulcis in fundo, non contenti, e tanto per gradire, lasciandoci pure “il fondo” nella bottiglia (spacciato pomposamente con dicitura “sur lie”), il tutto con lo scopo non dichiarato ma altrettanto abilmente camuffato di autenticità per motivi prettamente commerciali e/o modaioli. Con questo non voglio assolutamente trasmettere paure financo insensate, anche perché, questi fenomeni, risultano fortunatamente per noi, essere abbastanza rari nel loro manifestarsi; problematiche però importanti per tutti i soggetti che già presentano di per sé dei quadri allergici più o meno seri; resta tuttavia però alquanto inopportuno il tacere o sorvolare sugli stessi, avendo nondimeno ben presente che, quanto sopra riportato, è, in ogni caso comune a tutte le sostanze di derivazione fermentativa, quindi, quanto descritto, vale naturalmente anche per la birra, per i formaggi, per il pesce ( tonno e pesce azzurro in particolare), soprattutto se questi ultimi non vengono conservati nel modo più appropriato: ritengo tuttavia ingiusto, fuorviante e meschino, attribuire allora, al vino, l’appellativo di “naturale” o qualsivoglia altra ingannevole aggettivazione, che possa ingenerare nel consumatore una falsa immagine di autenticità, di schiettezza e soprattutto di salubrità. Ognuno scelga cosa produrre, consumare, secondo coscienza ed il proprio gusto, avendo tuttavia però, quel minimo di consapevolezza, che, spesso, dietro l’immagine di “naturalezza”, si può nascondere soltanto il più bieco profitto. Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza!