Il formaggio Livarot
Un pochino di storia…
Fin dal sedicesimo secolo, il formaggio veniva prodotto nelle latterie presenti in ogni fattoria, in quanto, le distanze tra le abitazioni, e le scerse comunicazione, facevano si che risultasse molto oneroso, in fatto di tempo il trasporto del latte a dei caseifici comuni. Pertanto, il fattore, utilizzava tutto ciò che il latte particolarmente ricco era in grado di offrire al sostentamento della famiglia: un ottimo burro, un formaggio magro, ricco in proteine, con un gusto unico, e che, grande vantaggio, poteva essere conservato anche per sei mesi, costituendo in questo modo una preziosa riserva alimentare: questo un aspetto importantissimo per l’economia rurale, dove da sempre, nulla veniva sprecato del dono delle mucche fattrici: un latte ricchissimo, sostentamento per tutta la famiglia. Si comprende quindi, come da sempre, il legame tra il burro ed il formaggio fosse una relazione indissolubile con il territorio regionale, ragione per la quale, ancor oggi, oltre ai più famosi formaggi normanni, il burro mantenga il suo status di prodotto altamente qualitativo, riconosciuto con la denominazione Burro di Normandia DOP. Il formaggio veniva considerato come sottoprodotto della produzione del burro restando un prodotto essenzialmente estivo, tempo durante i quale, la produzione di latte era particolarmente importante. Solo nel 1693, il consigliere di stato, Pommeureux de la Bretesche, per primo, diede il nome di Livarot a questo formaggio,( conosciuto sino allora con il nome di” Angelot”), nome della cittadina del dipartimento del Calvados, importante centro delle attività commerciali e principale mercato della regione. Il Livarot divenne in breve tempo il formaggio più rinomato dell’area e addirittura menzionato da Thomas Corneille nel “Dizionario Universale Storico e Geografico”: era nato un mito. Dalla fine del diciassettesimo secolo, il nascente commercio della carne, portò allo sviluppo degli allevamenti bovini proprio nelle aree del Pay d’auge, particolarmente avvantaggiate dalla presenza di pascolo ricchissimo, l’esistenza di paludi, importanti per l’abbeveraggio degli animali, ed il clima favorevole, determinando in tal modo, e, grazie anche all’ammodernamento delle vie di comunicazioni, il successo dei formaggi e del burro di Normandia i quali raggiunsero una grandissima fama nella vicina capitale, grazie al loro regolare approvvigionamento. Nei primi anni del milleottocento, il Livarot, sembrò passare di moda: sottoposto a critiche severe da parte di diversi gastronomi, critiche dovute al forte odore del formaggio, che lo faceva pensare come prodotto facilmente corruttibile: tuttavia, la riscossa si presentò qualche decennio più tardi, nel 1877 il Livarot concluse vendite praticamente doppie del rivale Camembert. Il ventesimo secolo, con il miglioramento del trasporto del latte fresco, assistette ad una diminuzione della produzione di formaggio, e, conseguentemente, i contadini, iniziarono ad affidare il loro prodotto agli “affineur”, ma da questo momento, il consumo di questo formaggio, cominciò a soffrire di fortune a fasi alterne, protrattesi sin dopo la fine della seconda guerra mondiale, dove diveniva sempre più scarso l’interesse al suo utilizzo. Per questa ragione, per far fronte al suo lento declino, taluni produttori decisero di aumentarne il tenore in materie grasse sino ad arrivare al 40% sul peso del formaggio, trasformando così la primogenitura di prodotto magro, in uno più giovane, morbido, cremoso. Il riconoscimento di prodotto a denominazione di origine controllata, AOC, ne determinerà il suo definitivo successo sulle tavole di tutto il mondo.
La produzione
Dal 2017, l’allevamento dei bovini di razza normanna, è l’unico riconosciuto per la trasformazione del latte destinato alla fabbricazione del formaggio Livarot, in quanto la genetica degli animali consente la produzione di latte dalle perfette caratteristiche grasso proteiche , ideali per la sua trasformazione casearia. Le mucche devono poter pascolare almeno sei mesi l’anno su di una superficie sufficiente alla loro alimentazione in prossimità delle fattorie: l’integrazione alimentare è strettamente vincolato all’uso di fieno, mais , barbabietole, cereali e vitamine.
La fabbricazione
Il latte raccolto, viene trasformato, una volta al giorno per la produzione del formaggio “fermier” al latte crudo, mentre quello immagazzinato per la consegna al caseificio o all’industria, può soffermarsi anche due giorni in apparato frigorifero, visto che successivamente subirà un trattamento termico più o meno importante atto a diminuirne o ad annullarne la carica batterica originaria (termizzazione e pastorizzazione) e, che una volta caseificato, originerà un prodotto molto diverso da quello ottenuto dal latte crudo originario. Le specifiche regole di trasformazione, impongono esclusivamente l’uso dei soli starter (siero innesto o latte innesto) e caglio: viene concesso l’uso di cloruro di calcio per le produzioni industriali, mentre è assolutamente vietato lo stoccaggio e l’utilizzo di cagliata congelata per la produzione differita nell’anno del formaggio. Il latte viene coagulato ad una temperatura di circa 37°C, quindi, la cagliata viene tagliata, frammentata e ridotta in piccoli grani e rigirati a braccia, quindi, riposta nelle fuscelle per affrontare il processo di sgocciolatura. La durata di queste operazioni non si può protrarre che per un’ora e mezza, mentre tutta l fase di sgrondo, prende un tempo di circa 24 ore, durante le quali la temperatura vie progressivamente abbassata dai 37 ai 18 gradi centigradi. Il formaggio fresco, rimosso dal contenitore viene salato in superficie con sale secco o con della salamoia, secondo le diverse ricette, quindi riposto ad asciugare in locale apposito ad una temperatura compresa tra i 10 ed i 14 gradi centigradi. In questa fase, si procede anche al lavaggio della superficie utilizzando una soluzione salina (eventualmente aggiunta di annatto) addizionata con fermenti lattici. Per consentire di mantenerne la forma originale, i formaggi vengono cerchiati con “cinturini” vegetali ottenuti dalle strette e lunghe foglie delle piante che crescono lungo il corso die torrenti e nelle zone (Ciperacee e Tifacee). Il processo di affinamento si protrae per un minimo di trentacinque giorni, ed i formaggi dopo il loro confezionamento vengono conservati sino a tre mesi alla temperatura di i 6°C, 8°C.
Caratteristiche
E’ un formaggio al latte vaccino, a pasta molle e crosta lavata, di forma cilindrica del diametro di circa 12 centimetri e uno spessore compreso tra i quattro ed i cinque, per un peso compreso tra i 350 ed i 500 grammi secondo le due diverse pezzature (Livarot e Petit Livarot), cerchiato con lacci vegetali sul tallone in numero variabile da tre a cinque; caratteristica questa all’origine del soprannome ad uso familiare di “colonnello”. La crosta, fine e traslucida, si presenta di colore aranciato, dovuto all’azione cromogena del Brevibacterum Linens (batterio del rosso) o al lavaggio con il colorante naturale annatto, una polvere di colore rosso, estratto dai semi dalla Bixia Orellana, pianta arbustiva originaria dell’America tropicale. La consistenza della pasta è morbida e mai colante, di colore variabile dall’avorio al giallo, disseminata di piccole aperture sferico-ellettiche. I profumo del formaggio varia da abbastanza a molto pronunciato, a volte forte, quando il suo affinamento si protrae per tempi oltremodo lunghi, declina aromi fruttati di sentori fungini, vegetali, e, sostenuto da note animali comunque mai aggressive; ha sapore pronunciato che si sofferma a lungo al palato. Non deve mai mancare nella composizione del “plateau de fromages”. Le sue peculiarità, si confanno particolarmente bene alle caratteristiche della bevanda regionale: il sidro, tuttavia per quanto riguarda vini bianchi, un ottimo Chenin blanc nella denominazione Vouvray o uno Chablis molto affinati, daranno sicuramente il meglio di sé nel confronto del nostro “colonnello”. Anche se permane la mia contrarietà al consumo di formaggio con vino rosso, lo si potrebbe tentare con un Pinot Noir o un cabernet Franc della Loira di annata non recente. E se ci buttassimo su uno Champagne Rosé?