E’ lui o non è lui?

Friz4.5

Questo “pippotto” vuole porre un’accento in chiave velatamente sarcastica su un aspetto, a volte trascurato, riguardante il nome proprio, che viene appioppato ad un prodotto, nel caso al formaggio, dal momento della sua nascita o durante la sua maturazione. L’atto formale, prevede tre distinte entità, che devono muoversi in perfetta armonia e simbiosi; “il battezzante”, o meglio “caseo-battezzante”, che per brevità di nota chiameremo più familiarmente Bat: ossia colui che imponendo per somma concessione, il nome, eleva “il battezzato”  all’ingresso nella caseo-società.  E’ il naturale appartenente alla categoria dei produttori ma anche e soprattutto a quella degli affinatori, anzi “afffinatori” con tre effe, visto che vengono ritenuti a torto o a ragione le figure più carismatiche della filiera.  “Il battezzato”, appunto, la figura più banale, che nel nostro caso trattasi di entità oniricamente inanimata, rappresentato dalla forma di formaggio. Per ultimo il nome, ossia Il “trait de union” tra l’azione dei due figuranti. Considerando in partenza solo l’aspetto che coinvolge il nome, visto che è  altamente inopportuno e sconsigliabile chiamare un formaggio Carlo o Maria, (anche se il fatto potrebbe avere il suo fascino perverso), quest’ultimo deve rispondere a caratteristiche ben precise, ossia:

    • Descrivere particolarità nella maturazione del prodotto in questione: si ricorre allora all’ aggettivazione del, tipo, speziato, puzzone, ubriaco, resinato, ecc.
    • Descrivere più semplicemente una peculiarità intrinseca della materia; ecco allora l’apparire di termini come l’esagerato delizia, grasso, molloso ecc.
    • Non descrivere un bel niente, ma più semplicemente evocare emozioni fantastiche legate al nostro io più profondo.

Vorrei comunque sottoporre all’attenzione del lettore, alcuni brevi considerazioni.
A volte i nomi possono discostarsi, e anche di molto, dai  principi sopra esposti. Prendiamo il caso dei due Puzzoni, più conosciuti, quello Nazionale e quello Francese. Il primo non puzza, quindi non è “sbagliato” il formaggio ma piuttosto il nome, mentre il secondo che è veramente fetente, i novelli Bat, lo hanno ribattezzano “vecchio”, avendo intuito che questa tipologia di prodotto è oggi praticamente improponibile. Ben più subdola invece è la terza categoria di nomi. Suggeriamo allora una classica dimostrazione. Prendiamo un formaggio (magari anche un “formaggiazzo” pastorizzato qualunque), che viene fabbricato in pianura; mettiamo pure che dalle stalle o dal caseificio si veda in lontananza un monte più o meno famoso, e mettiamo poi di  “battezzare”  il nostro, con il nome di quello stesso monte; ecco che allora scatta in noi “ il perverso meccanismo”. Il preoccuparsi della qualità del prodotto diviene di secondaria, se non di inutile importanza, l’evocazione della montagna diviene sinonimo stesso di verdi pascoli, di limpide acque, di fiori ed erba verdissima: tutte immagini positive, che per traslazione penetrano come per prodigio nel formaggio stesso. Bella cazzata! Esiste poi il caso in cui, più o meno consapevolmente, si confondono le montagne se non addirittura le catene montuose (e sì che sono grandissime). Ecco allora che un formaggio prodotto sul Massiccio Centrale, viene ricollocato in inequivocabile e più familiare posizione Alpina. Ci si chiede: “ sarà un sacrificio al dio chilometro zero?” oppure un metodo di proposta più “coinvolgente” verso il consumatore? Sicuramente, e, neanche troppo in lontananza, si sente una stantia puzza di fregatura!  A questo punto ben venga “Il formaggio di nonno Teomondo”, che, anche se molto meno tranquillizzante nella forma, lo può essere nella sostanza, e proprio per questa ragione, può almeno per mera curiosità spingere ad articolare una fatidica domanda: ”Ma è buono o non è buono?”, e solo dopo aver ottenuto rassicurante risposta, il più lungimirante degli avventori lanciarsi financo ad un appassionato assaggio. Meditate!

 

Friz