Il seguito, non vuole certamente essere una gratuita magnificazione del formaggio d’Oltralpe, né una becera contrapposizione a quello nazionale, in quanto, personalmente ritengo la qualità del prodotto, essere un elemento trans nazionale, in grado di unire in un unica famiglia, i produttori che si sforzano per mantenere ben salde, quelle tradizioni, che, sono in grado non solo, di contraddistinguerci nei confronti della globalizzazione, ma che sanno portare sulle tavole del mondo intero il marchio di una terra e di un saper fare, che tutti ci invidiano. Diciamo subito, che la Francia da sempre si è posta indiscutibilmente al vertice di questa piramide qualitativa in ogni settore del mondo agro-alimentare, dando un importanza estrema, non solo al prodotto in quanto tale, ma mantenendo al contempo una rigorosa disciplina nel modo stesso di produrre, tanto da diventare per tutti un punto di riferimento molto importante; basti pensare non solo al formaggio, ma, anche al vino , al comparto della pesca sin alla produzione delle più svariate verdure e frutta. Tuttavia sono presenti anche nell’esagono, forti spinte alla cosiddetta modernizzazione, alle tentazioni della massificazione, allo snaturamento dei contenuti dei fattori terra-uomo, che sono al centro della produzione di qualità, con grossi rischi di immagine e ricadute negative, non solo sull’economia, ma a volte anche a scapito della salute dei consumatori; sperimentiamo da vicino quello che sta succedendo a casa nostra in questi mesi, dove la sopraffazione dell’affarismo ha messo a nudo la fragilità di un mondo agricolo, che da sempre è stato in prima linea nel portare l’immagine del prodotto Italiano nel mondo. Povero mondo! Per iniziare questa chiacchierata, è doverosamente obbligatorio soffermarci alla sola menzione dei formaggi di alta tradizione, costituiti da materia prima di eccellenza, non manipolata in alcun modo da trattamenti chimico-fisici, come la pastorizzazione o la termizzazione del latte, ma dando maggior spazio e risalto a quelle produzioni “fermiers” che contraddistinguono, oltre un ben specifico territorio, anche la maestria degli uomini che in esso ci lavorano, occupandosi non solo del prodotto formaggio, ultimo di una filiera, che vede nel rispetto della terra il suo punto originale. Quindi lasciatoci alle spalle un bel mucchio di schifezze che riempiono purtroppo moltissimi banchi di vendita, ci possiamo permettere questo giro di Francia di autentiche golosità, col solo intento di descrivere e non promuovere, lasciando al senso critico del lettore le conclusioni che meglio preferisce. Me li coccolo, me li guardo, me li rigiro, me li annuso, infine, me li mangio i “miei” formaggi! Oggi sono oltre trecento tipi diversi quelli che passano nelle mie celle frigorifere e che quotidianamente propongo alla mia clientela,( devo dire con molta soddisfazione reciproca), frutto di una ricerca di molti anni, ormai più di venti, iniziata come per tutti, dalle cose più semplici e scontate, e continuata, ormai divenuta caccia, a quei piccoli tesori che si nascondono ancora in moltissime fattorie. Darei un ordine, o meglio un semplice metodologia per una migliore descrizione, e cognizione, suddividendo i formaggi in famiglie, nelle quali sarà giocoforza inserirli, al fine di meglio comprendere quelle caratteristiche che accomunano molti di loro.
I formaggi freschi: si identificano per l’assenza di una crosta superficiale, di colore candido, si distinguono soprattutto per il gusto acidulo o dolce della pasta, indicativo del loro modo di esser prodotti. I primi generalmente a “freddo” con aggiunte molto contenute di caglio, con separazione del coagulo in tempi relativamente lunghi; i secondi a “caldo” con un quantitativo di caglio più generoso, con deposito molto più veloce. Interessante è sapere che la velocità di precipitazione della cagliata dovuta all’azione degli enzimi contenuti nei differenti tipi di coagulanti, influenza direttamente il contenuto di calcio nel formaggio stesso, ed elevate velocità di coagulazione corrispondono più elevati contenuti di calcio nella pasta che si presenta più omogenea ed elastica. I formaggi che meglio rappresentano questa famiglia, sono i più disparati caprini, generalmente prodotti nelle fattorie della vallata della Loira o nella regione dell’alta Provenza dalle forme più diverse e dai nomi più dissimili, tutti comunque accomunati da questi equilibri leggermente aciduli che al meglio si prestano all’inizio del pasto. Un discorso a parte per il “fromage blanc”, in pratica una cagliata ottenuta indifferentemente da latte vaccino o caprino, spesso a carattere “dolce”, indicativa di quanto sopra, utilizzato, per la preparazione di piatti cucinati, dalle torte dolci a quelle salate, ma spesso presentati nel piatto accompagnati da coulis di frutta. Ah che meraviglia i cremets d’Anjou!
I formaggi a pasta molle: sono in Francia la famiglia più numerosa, rappresentata da diverse interpretazioni tradizionali, e che probabilmente sono la spina dorsale della produzione casearia d’Oltralpe. Si tratta di formaggi a breve stagionatura, da qualche settimana a qualche mese, caratterizzati pertanto dalla presenza di una crosta, che per le sue caratteristiche, offre alla visione tutto ciò che serve per la caratterizzazione del formaggio. Il tocco lascia intendere la morbidezza della pasta mentre l’aspetto esteriore indica la lavorazione effettuata per l’affinamento del formaggio. Avremo quindi i formaggi a pasta molle con crosta naturale, caratterizzata dalla presenza di colonie le più difformi, di microorganismi più o meno colorati, ceppi fungini bluastri, grigi, bianchi, lieviti gialli o rosa. Molti formaggi caprini appartengono a questo gruppo. Tra i più noti il Crottin di Chavignol, o il Pouligny-Sait-Pierre dalla bella forma piramidale. Ancora, i formaggi a crosta “fiorita”, caratterizzati dalla presenza di un velo bianco, candido, in superficie, dovuta alla proliferazione di un particolare ceppo di penicillium. Chi non conosce il celebratissimo Brie de Meaux , o quello di Melun, o ancora il Coulommiers e soprattutto il probabile capostipite Camembert di Normandia. Le cosiddette croste lavate, formano invece, un insieme di formaggi caratterizzati da una superficie umidiccia, spesso traslucida dai colori che vanno dall’aranciato, al rossastro, all’ocraceo, dovuto questa volta alla presenza di un batterio (Brevibacterium Linens) che chiameremo per brevità “il batterio del rosso”, nonché, dalla fin troppo invadente aromaticità. Il lavaggio con salamoia, a volte aggiunta di vino, grappa o altro distillato, nonché di birra, non consente la formazione di muffe, quasi si voglia mantenere un aspetto mondato da qualsivoglia lordura. Sono i formaggi cosiddetti “monastici” a ben sottolineare la scrupolosa pazienza posta nel loro affinarsi, prerogativa degli intelletti più spirituali propri dei monaci. Tra essi spiccano soprattutto il Livarot, il Maroilles, l’Epoisse di Borgogna, il “fetentissimo” Muster Alsaziano, il Mont d’Or il Reblochon e chi più ne ha più ne metta. I formaggi a pasta molle con crosta di cenere, sono forse i più particolare nell’aspetto e financo nella forma. Cilindrici, piramidali, conici, sferici, ovoidali, ma tutti più o meno grigiastri, fumosi, di una cenere che un tempo fu sarmento e vita per l’uva. Il grandissimo Sainte Maure di Torenna, tra i preferiti del Roi Soleil, Il Valencay, si dice legato alle vicende egiziane di Napoleone, il cremoso Selles-Sur-Cher e tantissimi altri che compongono un piccolo universo che uniche la Champagne al Bordolese.
I formaggi a pasta pressata e pasta cotta: sono rappresentativi del mondo rurale valligiano, spesso di grandi dimensioni, dalle forme tambureggianti. Baluardo contro il tempo, rappresentavano le riserve alimentari delle popolazioni montanare: prodotti nel momento migliore della stagione, con il latte estivo d’alpeggio, trattengono nelle loro “carni” tutte le nuances dei profumi dei fiori della montagna i sapori particolarmente pieni e caratteristici dei luoghi dai quali provengono. Normalmente vaccini, raramente ovini o caprini sono probabilmente per noi i meno conosciuti, ma sicuramente i più “spettacolari”. Il particolare Ossau-Iraty basco dalle origini lontane, dal latte della Manec a testa rossa, una pecora dal carattere rude simile a quella dei suoi pastori, i sapidi Salers, Cantal, Laguiole figli dei Massiccio Centrale, ma anche gli eccellenti Beaufort e Comte’; tutti indimenticabili quando si ha la fortuna di poterli assaggiare dopo qualche anno di affinamento, magari tre o perché no quattro, con bel pezzetto di buon pane e soprattutto un vino generoso. Basta così poco per sentirsi felici!
I formaggi erborinati: meglio sarebbe dire a muffe interne, ma questa descrizione non sposta i termini della questione. Si riconoscono in quanto disseminati abbastanza uniformemente di macchie grigio bluastre dovuto alla proliferazione di colonie fungine di Penicilliu Glaucum. Si tratta di produzioni abbastanza localizzate ma importanti a partire da latte di pecora soprattutto ma anche mucca e capra. Il più famoso formaggio ovino dalla fama sicuramente non usurpata è il mitico Roquefort, dal centro sud, le Fourme de Monbrison e d’Ambert , probabilmente il più antico tra i “bleu”, già descritto da un mio celebre concittadino di nome Plinio, il bleu d’Auvergne dal gusto fungino e mielato al contempo. Le alpi Savoiarde, come in uno scrigno nascondono l’eccelso quanto raro Bleu de Termignon un “formaggione” veramente unico, prodotto esclusivamente durante il periodo di transumanza delle mandrie.
Il mio giro di Francia e la mia breve trattazione finiscono qui, senza voler stupire ma sicuramente lasciare un pochino di curiosità, ben sapendo che tutto ciò di cui ho scritto, con un briciolo di attenzione si può cercare e trovare nel banco dei gastronomi più attenti.
Friz